L’Importanza della Memoria nella Predicazione Cattolica dell’Epoca Pre-Stampa

Nel vasto ed eloquente panorama della Chiesa medievale, la memoria emerge come una virtù fondamentale, custode e trasmettitore della Tradizione Sacra, soprattutto per i predicatori che, privi degli strumenti della stampa, si trovano a svolgere un ruolo cardine nell’insegnamento e nella diffusione della fede. La memoria, nel contesto della predicazione, non è solo un’attività mentale di ritenzione, ma diventa l’ossatura della trasmissione della Parola di Dio, il vettore attraverso il quale la verità eterna raggiunge le anime degli ascoltatori.

“Memoria est arca,” scriveva Sant’Agostino, “in qua quicquid retrahitur, nescit obliuionis.” La memoria è infatti un’ “arca”, un contenitore che non solo conserva, ma custodisce i tesori più preziosi. Per i predicatori medievali, il “tesoro” da conservare era la Sacra Scrittura, i dogmi della fede, le esortazioni morali, e la ricca tradizione dei Padri della Chiesa, che si tramandavano per via orale, senza il soccorso di testi a stampa. L’attività di predicazione, dunque, richiedeva una memoria viva, acuta, capace di rievocare e di interpretare i sacri testi in modo che la Parola di Dio potesse risuonare con freschezza e forza nelle menti e nei cuori dei fedeli.

La figura del predicatore medievale, come ben sottolinea Jean Leclercq, non è quella di un semplice oratore, ma di un “minister” della Parola, che non può permettersi il lusso di affidarsi alla scrittura come mezzo di supporto, ma deve basarsi unicamente sull’arte del ricordare e dell’evocare. “Non est in scribendo quicquam pretiosum,” scriveva Sant’Isidoro di Siviglia, “cum non sit in memoria.” In tal senso, la memoria non è solo una facoltà intellettiva, ma un atto spirituale e liturgico. Essa è l’alimento del predicatore, il cui scopo primario è quello di formare un legame di trasmissione intergenerazionale, un ponte fra il presente e il passato, fra il “hic et nunc” della predicazione e l’eterno “Verbum Dei.”

La centralità della memoria nella predicazione medievale trova, inoltre, un riflesso nell’interpretazione della Scrittura. La pratica dell’expositio o della predica biblica, che dominava nelle università e nei monasteri, si sviluppava principalmente grazie alla capacità del predicatore di rievocare e commentare passaggi sacri senza il supporto di testi scritti. In questo contesto, la memoria diventava quasi una “virtù teologica,” come sottolineato da Riccardo di San Vittore, il quale affermava che “memoria est instrumentum veritatis.” La memoria, in tal modo, diveniva strumento di verità divina, un mezzo attraverso il quale il predicatore attingeva alla sapienza universale, custodita nei libri sacri e nelle tradizioni patristiche, e la rendeva fruibile per i fedeli.

Ma non era solo l’esercizio intellettuale che richiedeva un’accurata conservazione della memoria: essa assumeva anche un’importanza morale e spirituale. La memoria della Sacra Scrittura e dei santi esempi di vita cristiana era il fondamento della vita devota del predicatore stesso. Come scrisse un anonimo monaco cisterciense: “Quid est vera religio, nisi memoria dei in perpetuum?” La “vera religione” non si riduceva alla sola pratica liturgica, ma consisteva anche nel continuo esercizio della memoria di Dio, che guidava ogni atto di vita cristiana e, in particolare, ogni atto di predicazione.

Inoltre, non va dimenticato che, in un’epoca in cui il libro, pur sacro e venerato, era ancora un bene raro e costoso, la memoria rappresentava anche l’unica “banca” di informazioni a disposizione del predicatore. Le “tropologie” e le “allegorie” bibliche, che costituivano il cuore delle prediche medievali, venivano fatte risuonare dalla memoria del predicatore come simboli viventi, e non come semplici dottrine. Il predicatore medievale non cercava solo di insegnare la dottrina, ma di alimentare e risvegliare l’immaginario cristiano, di formare un “popolo del ricordo,” come scrisse Tommaso d’Aquino nella Summa Theologica: “Memoria est visus animi, per quam in aeternum visibilia mentis contemplamur.” La memoria è il “volto” dell’anima, attraverso il quale contempliamo eternamente le realtà invisibili.

In conclusione, la memoria non fu solo un mero strumento di conoscenza intellettuale, ma un vero e proprio “attributo teologico” che elevava la predicazione medievale a una forma di arte sacra. Il predicatore, armato della sua memoria, era chiamato a rendere viva e dinamica la Parola di Dio, affinché essa potesse penetrare nei cuori dei fedeli, ed essere portatrice di trasformazione spirituale. In un mondo in cui la scrittura era riservata a pochi, la memoria rappresentava l’unico canale per tramandare la fede, per risvegliare l’anima e, come scriveva Agostino, “per non dimenticare che il cielo è vicino e la verità eterna è sempre in noi.”

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