Tor-nare a casa

Si conclude, con due giorni d’anticipo causa maltempo, il Tor delle polemiche. Polemiche forse un po’ sterili giacché si è polemizzato molto per via del maltempo ma il tempo, quello meteorologico come diceva bene mia nonna, non ha mai voluto sposarsi per poter fare sempre ciò che vuole. È settembre e a settembre in Valle d’Aosta non è detto faccia bello, per la verità a 3200 metri di altitudine, non è detto che il tempo sia clemente nemmeno in luglio. Non sono dentro all’organizzazione di questo evento originale e folle, parlo quindi commentando le rimostranze di partecipanti e non che mi è capitato di leggere in rete ma mi pare vada da sé che, in una gara lunga 330 Km, sia fisicamente impossibile avere medici, infermieri, responsabili e guide alpine ad ogni piè sospinto. Chi va in montagna sa che è un’attività sempre rischiosa, non sono pochi i casi in cui alpinisti esperti sono morti in semplici scampagnate della domenica, in un ambiente ostile all’uomo come le Alpi l’infortunio può nascondersi ad ogni svolta di tornante. Ciò che mi stupisce di più è la cospicua quantità di persone che si reputino in grado di affrontare un percorso tanto massacrante quanto imprevedibile. Probabilmente molte persone sopravvalutano le proprie qualità alpinistiche nonché le proprie capacità fisiche ma questa non è una novità; quante motociclette si vedono sfrecciare a tutta velocità nelle domeniche pomeriggio post MotoGP! Ho letto, in un articolo di Repubblica scritto da un partecipante, un paragone molto particolare riguardo alla liberatoria ( che solleva l’organizzazione in caso di infortunio e/o morte di un concorrente ) che si firma insieme ai moduli di iscrizione, cito: ” è un po’ come se la stradale ti dicesse: oggi guidi fregandotene del codice della strada, passi col rosso e vai a 200 all’ora. Però se ti succede qualcosa, è affar tuo.” All’autore di questo paragone mi sento di dire che non è proprio così, una similitudine più consona sarebbe accomunare il Tor all’andare a girare in pista al Lombardore, anche lì si firma una liberatoria e il circuito offre delle sicurezze in più ma se ti schianti a 300 all’ora contro un muretto e muori non è certo colpa dell’asfalto! Così è per il Tor: l’organizzazione offre un’assistenza generica, cibo, luoghi per riposare, personale ospedaliero ma la gara la corre ogni singolo atleta secondo le proprie capacità e sensazioni. Se poi metti un piede in fallo e finisci in un burrone, vuoi perché era notte, perché c’era la nebbia, perché aveva appena nevischiato, perché un sasso si trovava dove non te lo aspettavi, non è colpa del buio, della bruma, della neve o del sasso è la sfortuna del trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato ed è sacrosanto l’assunto che non sia colpa dell’organizzazione anche perché, senza pettorale e con molta voglia, il Tor lo puoi pure correre da domani e se ti perdi, il cellulare non ha campo e fa molto freddo non verrà a cercarti comunque nessuno. Un’ultima considerazione va fatta sul concetto di ” mettersi alla prova ” alla ricerca dei propri limiti psicofisici: l’umanità deve il suo progresso proprio a questa predisposizione alla ricerca del nuovo, dell’inesplorato va da sé che balzando a pié pari nell’ignoto si può scoprire l’America ma se ne può anche far ritorno con una nuova ed incurabile malattia.

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