Le immagini di questi giorni che ritraggono un vice premier, Ministro dell’Interno, a petto nudo, mentre detta legge dalla consolle del Papeete di Milano Marittima non mi scandalizzano di certo. Le trovo anzi umane, vere, veraci, disinibite, addirittura credibili; sicuramente molto più credibili del titolo del suo libro: Secondo Matteo, che richiama in noi tutti l’antico insegnamento catechistico, per cui, secondo Matteo, si poteva leggere una delle versioni più accreditate della vita del Cristo.
Ecco, quest’uomo, che inforca palchi come fossero cavalli da guerra, brandendo amuleti cristiani quali vangeli e rosari, in fin dei conti è un quarantaseienne come ce ne sono molti: divorziato, seduttore ( e badate bene all’etimologia del termine sé-duttore ovvero colui che tenta di portare a sé ), caciarone e con tanta voglia di divertirsi, per scaricare gli affanni della vita, per dimenticare un momento il frullo oligarchico che echeggia costantemente in quella capitale, che è Roma, e che lui, credo, vorrebbe tanto potesse essere Milano. Quella Milano che pian piano si va staccando dal resto d’Italia, vuoi per la conformazione del suo skyline, vuoi per la mentalità, in costante cambiamento, dei suoi abitanti.
Eccolo lì Salvini, l’uomo del popolo perché identico al popolo che lo acclama, che sorseggia un mojto al riparo dal sole; che elargisce autoscatti ad una lunga fila di persone quasi fosse una star del cinema o dello sport, che suggerisce come master track niente di meno che l’inno di Mameli, per altro mai animato prima da cubiste leopardate e vocalist ad evidenziare il popolarissimo poropò-poropò-poropò-pò-pò-pò-pò!
Eccolo lì Salvini, che nella mente della grande massa che lo sostiene ormai da tempo, non fa nulla di male anzi, istituzionalizza il sacrosanto diritto di ogni lavoratore a concedersi il meritato, inoppugnabile ed inappuntabile svago che si merita. È il ritorno della Milano da bere ma questa volta è una Milano Marittima.
Gente contenta il ciel l’aiuta. Già, perché non vorrei proprio essere nei panni della zingaraccia che dovrà aspettare la ruspa, non avendo idea di quando questa arriverà; forse alla fine dell’estate, quando non serviranno più ruspe per trainare i setacci di sabbia sulle spiagge.