La giovane Italia, debole

La giovane Italia, debole

Vi era un tempo in cui la disoccupazione veniva definita come una situazione transitoria, più assimilabile al popolo fannullone che a quello in età da lavoro, tale tempo è trascorso e la disoccupazione, con il passare degli anni, si è consolidata divenendo sempre più definitiva.
L’essere in forze ed il poter essere produttivi ma non riuscire a trovare uno sbocco dove esprimere la propria produttività, rende deboli; le donne e gli uomini costretti a stare a casa, spesso, sviluppano forme di disagio che possono sfociare talvolta in fenomeni di vera e propria depressione; l’essere umano che non riesce ad esprimersi nel mondo del lavoro si sente allontanato dalla società, tanto da sentirsi giustificato nei suoi eventuali comportamenti antisociali. L’ostracismo, senza cocci firmati, al quale è soggetto il disoccupato è uno degli effetti più pericolosi e troppo sottovalutati, derivanti dalla sfrenata politica economica neoliberista che impera nelle nostre menti quanto nei nostri cuori.
Qui si forma il paradosso, è proprio in questa società avvezza al liberismo più assoluto, che rifiuta il disoccupato, l’habitat in cui quest’ultimo si muove, nella speranza di trovare un lavoro ed è a questo punto che il liberismo si trasmuta da pagatore dei diritti storici del lavoratore in garante della carità sociale, fenomeno che indebolisce smisuratamente la considerazione che il disoccupato ha di se stesso e della sua condizione.
Bisogna però dire che il disoccupato moderno non è quasi mai un completo nullafacente anzi, credo che ormai si possa assimilare il fenomeno della disoccupazione nella molto più vasta ed articolata problematica che va comunemente sotto l’appellativo di precariato.
Spessissimo il disoccupato è un precario: del mondo dei co.co.co., del mondo del lavoro sommerso, del mondo del lavoro stagionale, del mondo delle false partite I.V.A. in mano a segretarie e redattori assunti sempre dalle stesse aziende.
La popolazione che vive immersa nel precariato è una massa insicura ed instabile, incapace di creare progetti e di progredire; immersa fino al collo nel liquame dell’incertezza nutre solo la speranza che d’improvviso il livello non si alzi ad affogarla. In una società dove l’indispensabile spesso risulta inutile ed il superfluo assolutamente necessario se non vitale, il non aver una busta paga da poter presentare come garanzia per il nuovo TV LED 42 pollici si trasforma in un supplizio generante stress. Da questo stress nasce una sorta di apatia sociale che porta a spegnere, nel precario, la voglia, il sentimento stesso di riscatto sociale che per lunghi anni è stato il motore del nostro e di molti altri paesi.
Il precario è troppo spesso un ondivago, oscillante tra la vacanza risicata e il baratro della povertà; una società che fa finta di non vedere, di non accorgersi di queste problematiche è destinata a soccombere a causa delle stesse. Urge la necessità di un vero risveglio sociale al quale partecipino tutte le categorie interessate, anche il lavoratore stabile, che oggi non si batte più per migliorie socio-economiche bensì per difendere i propri diritti acquisiti, deve comprendere che senza il suo appoggio il precario ( suo figlio ) non può vincere una battaglia così difficile.
Il compito del sindacato è trovare un nuovo tipo di linguaggio capace di entrare nella quotidianità di queste problematiche per eviscerarle ed eviscerandole aiutare ad individuare quale e dove sia, per dirla con Montale, l’anello che non tiene e da quel punto iniziare a lavorare per rimettere in movimento quel progredire sociale che è sempre stato e sempre dovrà essere obiettivo primario di ogni gruppo sindacale.

F.C.

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