Era l’autunno del ’44, non mi chiedete il giorno esatto, da qualche mese ormai, esattamente da quando decisi di “salir sulle montagne”, come si diceva allora, anche se poi si trattava più di colline, che non vedevo un calendario, che non domandavo che giorno fosse. Per me, pensavo, fosse meglio così, non sapere il tempo che scorre credevo lo facesse passar più in fretta; avevo diciannove anni e a quell’età si pensano un sacco di cretinate.
Ci si spostava in continuazione, nei boschi, a cercare riparo in qualche grotta, in qualche capanno di caccia se ti andava bene; a volte si scendeva più giù, verso la piana, a cercar qualche cascina che ti desse farina, salami, magari un bottiglione di vino… eh ma mica tutti i fattori eran contenti di vederci: sporchi, affamati, impauriti e soprattutto senza soldi. Già, lasciavamo dei buoni di carta straccia che scriveva il Talpa ( non so poi il perché, visto che era il meno studiato ) e su c’era scarabocchiato paghiamo quando potremo e la cifra che si sarebbe dovuta portare al fattore quando fosse finita la guerra e fossero finiti i morti e quei bastardi dei fascisti, non ce ne fosse più stato uno in giro. Sapevamo tutti, combattenti e fattori, che quel mangiare e quel bere sarebbero stati a sbafo.
Pian piano eravamo tutti o quasi arrivati a questo famigerato autunno e c’erano voci inquietanti che giravano da un po’ di tempo ma non gli si voleva credere. E su e giù, dalle colline alla piana arrivò un giorno che io e Anita ( che non era una donna ma un mio vicino di casa salito in montagna prima di me, che aveva preso il nome della fidanzata che tanto amava e che non vedeva da troppo tempo, come nome di battaglia ) arrivammo in un paesotto che non ricordo come si chiamasse e li un vecchiotto ci aveva fatto vedere un pezzo di giornale che era arrivato dalla città con delle ciabatte scalcagnate dentro e sopra c’era scritto che il generale americano aveva deciso di fermare la campagna alleata per l’inverno. Porco boia. Anita diceva che non era possibile, sennò era come dire arrivederci e grazie, per noi fa freddo e voi in montagna senza tetto tiratevi le balle. Con quel pezzo di giornale stretto nel pugno eravan tornati dai compagni, di corsa e l’avevamo dato al comandante della brigata che si chiamava Zitto e che diceva di essere comunista ma io, più di una volta, l’avevo visto pregare. Ed ero stato contento perché, a dire il vero io in mezzo ai comunisti, mi ci ero ritrovato per caso e adesso mi stavano simpatici e poi quando si deve sparare la politica non c’entra. Beh, Zitto aveva letto l’articolo e non aveva detto niente per qualche minuto, poi Anita gli aveva dato un colpo al piede e quindi? E quindi niente, avremo freddo.
Qualche giorno dopo una staffetta aveva fatto sapere che i tedeschi si preparavano a svuotare una cantina carica di crudi e culatelli e che sarebbe stato bene che i crucchi quella cantina la trovassero già bell’e vuota. Organizzammo la cosa io con altri tre compagni, scendemmo nel paese e ci mettemmo d’accordo con gli uomini rimasti nelle loro case, che la sera seguente avremmo portato via tutto. Quella notte era buia, non c’era luna e nelle strade di terra battuta si vedevano sfrecciare sagome cariche come muli e poi su nei prati a sparire nel bosco.
La refurtiva sottratta alla Wehrmacht era profumata e tanta, al campo avevamo festeggiato la riuscita dell’operazione e ci immaginavamo quelle brutte facce tedesche nel momento in cui fossero scese in cantina… Zitto ci aveva lasciati sfogare un po’, poi aveva detto che tutti quei prosciutti e quei culatelli non ci servivano, di prenderne un po’ ciascuno e andare nei villaggi vicini, di notte, e appenderne uno ad ogni porta: i neri rubano i rossi restituiscono.
QUESTO BREVE RACCONTO E’ INVENTATO, OGNI RIFERIMENTO A FATTI REALMENTE ACCADUTI O PERSONE REALMENTE ESISTITE, E’ PURAMENTE CASUALE. MA NON CREDIATE CHE SI DISTANZI TANTO DALLA REALTA’.
BUON 25 APRILE A TUTTI COLORO CHE POSSONO APPREZZARLO!