Come di consueto pubblico un racconto in occasione della festa nazionale di liberazione del 25 aprile. Quest’anno, a parlarvi, non sarà una prosa bensì il simulacro di una lettera scritta da un giovane repubblichino alla madre. Spero non vogliate freintendere il mio intento che è ricordare, prima e più di tutto, che il 25 aprile è di tutti e nessuno può rivendicarne la proprietà. Il coraggio dei combattenti partigiani è fuori di dubbio ma non bisogna mai dimenticare che la storia la scrivono i vincitori e che dall’una e dall’altra parte della barricata, a comporre le fila di soldati ci sono solo e sempre esseri umani.
Li 23 aprile 1945
Carissima Madre,
i tuoi dubbi su questa follia temo si stiano rivelando sinceri; ed io, che credetti tu fossi pazza devo ricredermi. Che potevo fare? Abiurare tutta la vita mia trascorsa sin qui? Forse avrei dovuto. In cuor mio dovevo conoscere il vero: che le madri hanno sempre ragione. Ora rivedo scorrere, come s’uno schermo di cinematografo, la mia infanzia da balilla: l’ordine, lo studio, gli allenamenti e quel mito di indissolubilità che piano piano mi ha forgiato l’anima e lo spirito. Madre, sono dilaniato. Qui a Gargnano abbiamo tutti paura, alcuni dei più convinti tra noi non sono rientrati in camerata, nelle notti passate; i marescialli li chiamano traditori e bastardi e bestemmiano, gridando col pugno rivolto al cielo, che la giustizia del fascio si abbatterà su di loro e se non quella, almeno quella divina. Tutto ciò che credevo vero sta affiorando alla superficie nelle sue reali fattezze; sento la Repubblica Sociale scricchiolare sotto i nostri piedi, c’è tensione tra i comandanti. Il Duce è partito qualche giorno fa, per andare a Milano dicono ma molti tra noi son convinti che sia fuggito, fuggito abbandonandoci. Pare che ieri Parma sia caduta in mano nemica, si dice che gli alleati non trovino resistenza alcuna fronte la loro avanzata e mi domando che cosa io debba fare. Gervasio e Griso tentano di convincermi alla fuga, dicono che la Svizzera non dista molto da qui e che poi si vedrà. I miei due compagni migliori vogliono ammutinarsi ed io non so se seguirli o denunciarli. Sono decisioni troppo aspre, non so come le affronterò. A Gervasio importa di vivere e basta, solo oramai com’è, morti i suoi fratelli e la madre, vuole studiare dice, studiare poesia. Il Griso parla solo di terra, della sua terra, la terra di famiglia, ricorda, a se stesso ed agli altri, come una preghiera, che è quasi tempo di allagare le risaie, di darsi da fare.
Ti scrivo queste poche righe nel tempo del pranzo, non ho appetito. Prenderò le mie decisioni senza poter contare sul tuo consiglio, come ahimè ho sempre fatto sino ad oggi, spero di scegliere nel modo giusto. Ti abbraccio nella speranza di rivederti presto.
Giuseppe