Poliglotti muti

Come sarebbe appagante riuscire ad osservare il mondo, a vivere il mondo in maniera spinoziana, sub specie æternitatis; nemici della realtà platonica; aver la capacità di rigettare la cacofonia del mondo, l’orribile, l’ingiusto, il tremendo, assumendo che ogni cosa che accada sia buona o, ancora meglio, nientzschianamente arrivare a comprendere che neppure il buono sia giusto-universale ma vittima, sempre, della prospettiva, dell’io che soggettivizza, imprescindibilmente, ciò che accade.

Ma non è così.

I recenti omicidi di Lecce sono scaturiti, secondo la Pubblico Ministero, da “ spietatezza e totale assenza di umanità “. Una “ cavolata “ li ha invece definiti l’assassino.

Assenza di umanità? E cosa c’è al mondo di più umano dell’invidia, della rabbia, del rancore, dell’odio verso i nostri simili? Già, perché da questi profondi moti umani nasce sempre la tragedia; la tragedia nasce dalla troppa presenza di umanità all’interno di una mente malata, irrefrenabile, insoddisfatta, vessata: umana, troppo umana.

Odiare la felicità altrui al punto da non riuscire più a sopportarla, sino ad arrivare a porvi fine per l’unica strada che paia percorribile: la morte del felice.

Siamo liberi o siamo schiavi? Schiavi della scatola piena di spine in cui ci muoviamo a fatica e che chiamiamo società, in cui il fallimento è lo stigma peggiore che ci possa affliggere e dal quale deriva l’infelicità, macchia aberrante sulla ormai sgualcita coscienza umana. 

Ecco che una mente debole, esasperata, non trova più via di uscita dal suo inferno se non il portare con sé, nel botro, anche il rivale, il felice, trascurando l’ovvio ragionamento per cui la felicità altrui, la realtà altrui, è sempre inconoscibile. Per questo nella verità giudiziaria esiste l’aggravante dei “ futili motivi “, perché la realtà altrui non può essere sondata, scandagliata da nessuno; perché è più facile per tutti noi pensare che un gesto tanto atroce sia frutto della futilità, anziché di un male oscuro, un ragno che tesse la sua fine tela nel fondo scuro del cervello di un uomo, portandolo a sviluppare un disturbo antisociale della personalità.

Eppure è la stessa OMS a dire chiaramente che la salute è: uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale; sappiamo quindi che la malattia fisica non è l’unica aberrazione della salute umana ma si può essere malati pure nella mente e addirittura nella società, si può essere malati in società e di società. 

Quando la Costituzione italiana parla di Diritto alla Salute non si riferisce esclusivamente al diritto alle cure mediche, di ogni cittadino, parla dello sviluppo della società in toto, rivolge il suo sguardo alla scuola, alla cultura, al paesaggio, al cibo: in generale al nutrimento necessario al corpo e pure allo spirito e il nutrimento dello spirito è, necessariamente, l’ emozione.

La natura e la cultura sono le fonti principali di emozioni umane, fonte inesauribile è la natura, sia intrinseca che estrinseca all’uomo; fonte inestinguibile è la cultura che, oltre ad essere veicolo di emozione ha un’altra fondamentale caratteristica: essere maestra di emozione. Questo significa che lo stato dovrebbe farsi carico dell’educazione “sentimentale” dei suoi cittadini ovvero la scuola dovrebbe istruire i ragazzi nella lettura, nella scrittura e nel far di conto e pure nel comprendere ciò che provano; la scuola dovrebbe fornire un dizionario dell’anima, prima che un dizionario di inglese.

Se non sappiamo chi siamo e dove siamo potremo pure parlare tutte le lingue del mondo ma resteremo muti.

Questa è la società in cui viviamo, una società di poliglotti muti.

Vivere nella società dello “scopo” porta ad essere necessariamente demoralizzati, perché allo scopo raggiunto ne segue subito un altro, più in alto, più lontano, più arduo; se il morale è basso, se viviamo costantemente demoralizzati allora la morale, che si nutre del morale, sarà labile, flebile, troppo sottile per essere il trampolino che spinga l’uomo verso il bene, verso il giusto fine.

Necessario si palesa il porre fine all’istruzione ( che sostanzialmente significa riempire una scatola ) dal latino in-struere, metter dentro, riempire, costruire, ripristinando l’educazione, dal latino e-ducere, portare fuori, trarre dalla mala via; quindi non più, solo, riempire le menti di nozioni atte al raggiungimento di uno scopo, quale che sia, ma educare le menti a comprendere il cammino migliore da percorrere per migliorarsi, per far sì che nessun uomo possa più definire “una cavolata” l’assassinio a sangue freddo di due suoi simili.

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