Oggi, primo di ottobre, è una data speciale: un anno fa la Catalunya proclamava la sua indipendenza dallo stato spagnolo ed entrava in un vortice discendente di nefandezze, aggressioni, arresti, esili e libertà negate. A distanza di un anno il popolo catalano non ha mutato la propria idea di autodeterminazione, non ha mai reagito violentemente alle provocazioni, ha saputo contenere la propria rabbia con la dignità degna di un popolo di avanzato civismo ed europeismo. La situazione in quelle terre superbe e rigogliose non è cambiata molto, ho potuto vedere e toccare con mano il lavoro instancabile degli attivisti, un lavoro inarrestabile, alimentato da un credo che poggia le proprie fondamenta su un’idea di libertà incrollabile ma, ahimè, molto distante dall’ordinamento politico mondiale che ci circonda. Lo stato-nazione non è la sola via per costruire un’Europa più solida e duratura. I popoli sono il sangue che scorre nelle vene di questo mondo umano, i popoli, non i confini o gli indici di borsa. Popoli come quello catalano mettono in evidenza il fatto che le idee possono concretizzarsi nella vita reale, possono farsi vita, partecipazione, condivisione. Il cammino intrapreso dai catalani è impervio e pieno di insidie ma sono convinto che si concluderà per il meglio. Visca la republica catalana!
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Anwar: ” gli scampati alla giustizia sono i poliziotti dell 1-0″
( nella foto Clara Ponsatí )
Propongo di seguito la traduzione di una intervista, apparsa su elnational.cat il 3 aprile 2018 a firma Nicolas Tomás, alla legale dell’ex Ministro del Governo catalano Clara Ponsatí, consegnatasi alla polizia scozzese il 25 marzo u.s., anch’essa accusata di ribellione e in esilio in Scozia dall’ottobre scorso. Rischia anche lei come Puigdemont e gli altri membri di governo 30 anni di carcere.
Aamer Anwar ( Liverpool, 1967 ), eletta miglior avvocato di Scozia del 2017, ha assunto con onore la difesa della consigliera Clara Ponsatí. È rettrice dell’università di Glasgow e internazionalmente riconosciuta per la sua lotta a favore dei diritti umani. È convinta di essere questa volta di fronte a una persecuzione politica e promette di lottare sino alla fine per impedire l’estradizione della consigliera in Spagna.
Il suo legame con la Catalunya non si limita al rapporto con la Ponsatí e per la difersa dei diritti di autodeterminazione. L’estate scorsa ha tenuto una conferenza all’università estiva di Barcellona. Il suo soggiorno a Barcellona è coinciso con gli attentati terroristici. Lei si trovava sulla Rambla e ” per dieci secondi ” è sopravvissuta. In quei giorni è rimasta orripilata dal trattamento dei mezzi di informazione spagnoli, che mettevano in tavola il processo indipendentista nel pieno del cordoglio per gli attentati.
Perché ha accetato il caso di Clara Ponsatí?
L’anno scorso sono venuta a Barcellona per una conferenza all’università riguardo alla lotta catalana. Le do supporto, perché credo che il popolo catalano abbia il diritto di decidere riguardo al suo destino. Ho osservato con orrore come la polizia ha attaccato brutalmente persone che semplicemente chiedevano di poter esercitare il loro diritto di voto. Quando Clara mi ha contattato perché la rappresentassi, le ho risposto che sarebbe stato un onore. È una disgrazia che nell’Europa moderna dei politici possano passare la vita in prigione semplicemente per aver promosso un referendum. Si potrebbe immaginare in un altro luogo ma non in Europa.
Sono ” scappati dalla giustizia “?
Questo non lo accetto. Il popolo ha diritto di decidere il suo destino, se dovranno essere indipendenti o no. L’hanno accusata di ribellione con violenza. L’unica violenza che molti di noi hanno visto è quella dei poliziotti spagnoli il giorno del referendum. Clara non può essere considerata responsabile di quella violenza. Quello che dovrebbe fare lo Stato è mettere sotto giudizio i poliziotti che hanno attaccato il popolo catalano. Se qualcuno è responsabile della violenza quello è lo Stato spagnolo. In ogni caso, gli scampati alla giustizia sono gli agenti di polizia che hanno attaccato indiscriminatamente gente pacifica che voleva votare.
Comunque accusano la Ponsatí e gli altri esiliati di fuggire dalla giustizia…
La domanda che bisognerebbe farsi è se ci sarà una qualsiasi sorta di giustizia per i politici catalani in Spagna. Non crediamo che la magistratura spagnola sia indipendente. Non crediamo che ad attendere Clara ci sia un giudizio giusto. Dando per scontato che la Spagna è un paese europeo e ha un sistema giuridico, quando si tratta però di catalogna questo sistema si incattivisce. Il governo catalano si trova in esilio o in prigione, e persone come Clara devono fare i conti con condanne fino a 35 anni. Per aver fatto cosa? Per aver promosso pacificamente un referendum. Questa non è né democrazie né giustizia.
Perchè crede che i tribunali spagnoli non possano garantire un giusto giudizio?
Ponsatí, Puigdemont, tutti i politici, la polizia e la magistratura già li hanno giudicati pubblicamente. Agli occhi della società spagnola, sono già stati dichiarati colpevoli. Ora non si possono inviare nei tribunali spagnoli perché abbiano un giusto giudizio. Per di più la magistratura spagnola è sistematicamente selezionata dal governo spagnolo, vi è molto legata. La propria indipendenza e imparzialità non possono essere garantite.
Secondo la sua opinione, ci sono prigionieri politici dello Stato spagnolo?
Sì. In questo momento i politici indipendentisti imprigionati lo sono. Sono d’accordo con quelle persone che sostengono che le azioni del governo spagnolo hanno ombre di franchismo. Il franchismo è tornato nelle strade della Catalogna e di Barcellona. Credo che stiano cercando di criminalizzare sistematicamente le aspirazioni indipendentiste.
E questa è un’eredità della dittatura?
Credo che ci siano molte somiglianze con il franchismo. Non penso che la Spagna abbia mai rotto definitivamente con esso. La memoria ancora resiste. E quando vedi agenti di polizia che attaccano persone che nemmeno stanno protestando ma che stanno votando… questo succedeva ai tempi di Franco, ora non dovrebbe succedere. Quando vedi persone che cantano inni franchisti facendo saluti fascisti e omaggiando il dittatore, è evidente che ci sia un problema. La Spagna è un paese nel cuore dell’Europa. Dopo la seconda guerra mondiale abbiamo detto “mai più” al fascismo. Ora per provocare il movimento indipendentista si sta tornando a tattiche franchiste.
La risposta del governo spagnolo sta mettendo in pericolo la democrazia?
Assolutamente. Non puoi chiamarla democrazia quando neghi i diritti di una parte della popolazione, quando questa non è uguale davanti alla legge. Se questi diritti non esistono per il popolo catalano ciò significa che in Spagna non c’è democrazia.
Comprende il silenzio di Londra?
Capisco il silenzio, perché Theresa May è preoccupata. Per questo motivo non ne parla, credo però che sia ipocrisia. Il suo governo ha dimostrato codardia utilizzando due pesi e due misure. Difende i diritti umani fuori dall’Europa, però quando succede in Spagna rimane in silenzio e dà sostegno al governo spagnolo. È grottesco. Sì immagini se tutto questo stesse succedendo in Russia. Si parlerebbe di sanzioni e di espulsioni di diplomatici. Il governo britannico è complice dei crimini del governo spagnolo.
Cosa pensa della risposta dell’Unione Europea?
È stata patetica e codarda. Una delle pietre miliari e della comunità europea è la convenzione europea dei diritti umani. L’Unione Europea ha sbagliato nell’ora di prendere decisioni contro la Spagna. Le avrebbe dovute prendere. Non ha importanza se sono a favore o contro l’indipendenza; avrebbero dovuto parlare chiaramente a proposito di ciò che si sta facendo al popolo catalano. Non siamo in Russia o in un paese africano parliamo dei nostri fratelli.
La comunità internazionale dovrebbe intervenire nel conflitto?
Potrebbe fare alcuni passi avanti, potrebbe approvare sanzioni economiche e politiche. Se vuole continuare nel Unione Europea, dovrebbero chiedere alla Spagna che obbedisca alla convenzione europea dei diritti umani e smetta di criminalizzare il governo catalano e i politici catalani. Non si può fomentare in questa maniera l’animo di tanta gente.
Cosa supporrebbe l’estradizione della sua cliente?
Faremo tutto il possibile perché ciò non succeda. È un processo molto lungo. Ci sono diverse possibilità di ricorso. Speriamo che nei prossimi mesi il governo spagnolo faccia un cambio di mentalità. O che perda le lezioni e arrivi gente nuova, più ragionevole, che abbia intenzione di negoziare. In democrazia si negozia, non si danno manganellate. Questo è fascismo.
È ottimista?
Sì, lo sono. Lotteremo fino alla fine per difenderla dall’ estradizione.
Perché la Ponsatí ha ricevuto questo supporto in Scozia?
Gli scozzesi sono passati attraverso il loro referendum. Perfino le persone che hanno votato contro ricordano bene che è stato un referendum Pacifico. Molta gente è rimasta impressionata vedendo una professoressa universitaria che potrebbe passare il resto della sua vita in prigione per aver fatto lo stesso. È rimasta anche orripilata dalle immagini del 1 ottobre. È per questo che tanta gente, non solo in Scozia, sta dando supporto al popolo catalano.
Anche la gente contro l’indipendenza scozzese?
Sì. Partendo dalla rettrice dell’università di Saint Andrews, Catherine Stihler, che è una eurodeputata laburista e contro l’indipendenza. Ha detto Che tutta la Scozia e tutta l’ Europa dovrebbero dare supporto al popolo catalano perché si tratta semplicemente di giustizia, umanità e libertà. Anche senza essere indipendentista sa che ciò che stanno facendo a Clara è sbagliato.
In questo momento, visto dal di fuori, è possibile una soluzione politica?
Non solo è impossibile, è l’unica possibile. Questo però implica che il governo spagnolo si deve sedere a negoziare. Non può continuare provocando la gente come ha fatto sino ad adesso. Se continuano così perderanno la battaglia contro il popolo catalano.
La situazione potrebbe precipitare
Dopo l’arresto del Presidente catalano esule in Belgio, Carles Puigdemont, i toni della diatriba Madrid – Barcellona si stanno inesorabilmente scaldando. Se, com’è immaginabile vista l’azione congiunta dei servizi segreti spagnoli e della Polizei tedesca che hanno portato alla cattura del Presidente, ci sarà l’estradizione tanto desiderata da Madrid la situazione potrebbe precipitare. Con nove persone in carcere, alcune da più di quattro mesi, sei esuli volontari, non contando il Presidente Puigdemont ora in stato di fermo, l’azione del governo di Madrid si fa sempre più repressiva e aggressiva nei confronti della classe politica indipendentista. L’Europa dimostra una volta di più i suoi limiti anche in materia di relazioni legali: com’è infatti possibile che un uomo su cui pende un mandato di cattura europeo, sostanzialmente per reati di opinione, possa tranquillamente vivere in Belgio, viaggiare in Scandinavia e attraversare l’Olanda senza che nulla gli venga contestato e poi arrivare in Germania e finire in manette?
I richiami alla pace e alla calma arrivano da tutte le parti politiche che sostengono l’indipendenza catalana, gli stessi incarcerati, dai loro account Twitter gestiti dai legali o dai collaboratori invitano la popolazione a non lasciarsi trascinare in atti di violenza ma un fuoco già cova nelle fila dei separatisti e l’arresto di Puigdemont potrebbe essere la benzina che lo farà divampare. Se il popolo catalano riuscisse ad ottenere l’indipendenza senza nessuno spargimento di sangue, senza nessun atto di violenza, sarebbe la prima volta nella storia dell’umanità; sarebbe la dimostrazione di un avanzatissimo civismo che io però oggi non scorgo, nel mondo che mi circonda. Temo che per i catalani si prospetti un periodo cupo.
Per meglio capire la questione catalana.
Sento e leggo, in questi giorni, una moltitudine di commenti superficiali e disinformati in relazione al tema dell’indipendenza catalana, con questo pezzo cerco di fare un po’ di chiarezza, a me in primis riguardo alla faccenda.
È chiaro credo a tutti che la questione dell’indipendentismo catalano non si limiti ad un capriccio di un popolo parlante una lingua propria, detentore di una gustosissima cucina propria e ricchissimo di usi e costumi secolari; beninteso le ragioni più profonde sono radicate nel tessuto sociale ma soprattutto economico della società civile ed imprenditoriale catalana. La battaglia, oggi come in passato, si combatte sui numeri quindi questi numeri vanno conosciuti. Partiamo da alcune considerazioni: lo stato spagnolo si è a lungo rifiutato di fornire informazioni sui bilanci regionali, nel 2008 alcuni dati sono venuti alla luce e si è così confermato che il deficit accumulato dallo stato catalano dal 1986 ammontava a più di duecento miliardi di euro. Bisogna sapere che in Spagna, unico stato dell’unione europea, esiste un ” fondo di solidarietà ” istituito virtualmente per aiutare le aree depresse della nazione; la Catalogna ha contribuito a questo fondo con circa l’8% del suo PIL annuo. La crisi del 2008 sommata a questa continua emorragia di tasse che escono e non rientrano hanno condizionato notevolmente e al ribasso l’economia dell’intera regione. Come se non bastasse entra in gioco anche il FLA ( Fondo di Liquidità dell’Autonomia ), in questo fondo dovrebbero essere reindirizzate le tasse spettanti ai governi autonomi di Spagna per la gestione dell’autonomia appunto ( in Catalogna sono autonome la scuola, la sanità ecc. ) ma qualcosa di strano avviene nei passaggi di bilancio dallo stato centrale alle autonomie periferiche, i soldi non arrivano tutti, le autonomie si vedono quindi costrette a chiedere del denaro in prestito per far funzionare la macchina sociale e i prestiti vengono erogati dallo stesso stato centrale che però ora guadagna degli interessi su detti prestiti. Credo che inizi ad essere più chiara la situazione ma vorrei comunque portare qualche altro esempio: partiamo dalla questione delle autostrade, si pagano 17,40 euro per fare i circa cento chilometri che dividono Tarragona da Alcanar, un tratto di autostrada che ad oggi è stato ammortizzato circa centosessanta volte ma che aumenta costantemente di prezzo perché la concessione alla società statale che lo gestisce è stata rinnovata ab æternum. Gli introiti di queste autostrade, eccessivamente care in territorio catalano, vanno a finanziare opere tanto mastodontiche quanto inutili come la AP41, l’autostrada Madrid-Toledo, arteria praticamente inutilizzata alla stregua della nostra BreBeMi, e che nei piani di Madrid dovrà essere continuata fino a Cordoba, passando per Ciudad Real. La costruzione di queste infrastrutture assolutamente sovradimensionate non ha nulla a che vedere con il miliardo e ottocento milioni di euro di espropri che si sono intascati i proprietari delle fincas a sud di Madrid, caso strano di proprietà dei più alti esponenti di oligarchia, industria e azienda pubblica di Spagna che hanno visto aumentare il valore dei loro terreni da 28€ al metro quadro a volte fino a 3161€ al metro quadro! ( La cartina pubblicata in alto da un’idea delle aziende proprietarie di quei territori. )
Ho citato in precedenza Ciudad Real e non è stato un caso giacché il governo centrale avrebbe in previsione di costruire un porto in questa località, il problema più annoso è che il mare dista circa quattrocento chilometri. Non è uno scherzo, lo stato spagnolo sta pensando di costruire a Ciudad Real il più grande terminal di container marittimi del sud Europa, nel quale si dovrebbe concentrare tutto l’afflusso dei porti di Barcellona, Valencia e dei porti portoghesi. C’è una motivazione ed è una motivazione sostanzialmente economica a questa follia infrastrutturale: cercare di boicottare il ” corridoio mediterraneo ” cioè quella linea di trasporto su treno ad alta velocità che dovrebbe collegare tutti i porti del mediterraneo all’Ungheria e all’Ucraina. È dal 1963 circa che in Europa si discute di questa via commerciale che ancora non è operativa, ci sarebbe da chiedersi il perché. Lo stato centrale cerca di deviare il percorso del ” corridoio Mediterraneo ” trasferendolo al centro del paese, per intenderci un ” corridoio centrale ” che andrebbe dall’Andalusia alla frontiera francese passando per l’interno della penisola iberica; si evince che questo progetto non intacca esclusivamente l’economia catalana bensì tutta l’economia costiera del Mediterraneo. L’intento non sottinteso di Madrid è sostanzialmente fare si che il ” corridoio centrale “, il ” corridoio Atlantico ” e il ” corridoio Mediterraneo ” confluiscano tutti nel centro della Spagna. Nella zona di Ciudad Real è stato costruito anche un aeroporto mai entrato in funzione, finanziato privatamente da Cassa Castilla-La Mancha; l’esborso si è rivelato talmete alto e fallimentare che la banca madrilena ha dovuto essere riscattata dal governo centrale, chiaramente con l’esborso di denaro pubblico. Ho portato alcuni esempi delle ingerenze anzi mi sentirei di usare il termine vessazioni che lo stato centralista e accentratore infligge alla Catalogna e ad altre comunità autonome della Spagna che non ho preso qui in considerazione.
Trascrivo di seguito una interessante intervista fatta dai giornalisti Pere Sánchez e Albert Pont a Ramón Cotarelo, nato a Madrid e professore emerito di scienze politiche e dell’amministrazione dell’università nazionale spagnola e dell’educazione a distanza. Una sorta di ” discorso sullo stato dell’unione ” pronunciato non da un politico ma da un accademico che può dare una visione generale piuttosto dettagliata e senza peli sulla lingua della situazione attuale.
Parla il prof. Ramón Cotarelo
Tutte le attività imprenditoriali spagnole girano intorno al potere politico […] e la Catalogna non è un’eccezione, la differenza è che le possibilità di espansione catalana non finiscono in un settore imprenditoriale corrotto che fa affari con l’oligarchia madrilena ma possiedono un potenziale di crescita che arriva da secoli precedenti e ciò che sembra ora è che l’antico scontro tra un nazionalismo catalano che spinge per l’indipendenza e una classe imprenditoriale impegnata negli intrallazzi con l’oligarchia centrale è stato vinto dalla tesi nazionalista e indipendentista. Parte importante della rappresentanza politica di quest’imprenditoria è diventata indipendentista e questo è ciò che sta dando l’impulso definitivo al movimento indipendentista.
Albert Pont: c’è la possibilità che si possa replicare ciò che sta succedendo in Catalogna anche in quei territori vicini in cui ci si sta accorgendo che fiscalmente si è molto maltrattati?
È parte della paura che ha l’oligarchia di Madrid. Qui stiamo parlando della Catalogna ma il contesto si allarga alle tre comunità che portano, in termini netti, la maggior parte degli introiti dello stato e per di più non fittiziamente, come Madrid, perché effettivamente a Madrid non c’è industria. Per il momento le altre due parti restano a guardare come va a finire per la Catalogna. Però se i catalani riescono a ottenere ciò che vogliono, immediatamente si svilupperà un movimento gregario molto forte che si andrà inquadrando come un movimento irredentista.
Pere Sánchez: come possono gli apparati statali affrontare una crisi tanto ampia, che non è solamente politica ?
Penso che non possano, non perché non vogliano ma perché non ne hanno i mezzi. L’ultima volta che lo stato spagnolo ha affrontato la Catalogna è stata durante la guerra civile; una parte importante della giustificazione della guerra civile è stata la Catalogna. Ci sono due fattori alla base dello scoppio della guerra civile: il fattore sociale e teorico della rivoluzione ( molto meno importante ) e la minaccia della separazione della Catalogna. Oggi le possibilità al servizio dello stato sono molto minori: possono continuare a pensare di bombardare Barcellona ogni cinquant’anni però non possono più farlo! Nella guerra del 1936-39 il contesto internazionale era favorevole ai fascisti, ora non è più così […] vedo la sinistra spagnola molto sconcertata […] il suo appoggio incondizionato al governo spagnolo, a questo governo, a questa destra nazional-cattolica, questo appoggio non credo che potrá mantenersi. Questa è una differenza alla quale deve sommarsi il fatto che alla fine si sono resi conto, da spagnoli, che la Catalogna fa sul serio!
A chi si è preso la briga di leggere fin qui voglio ancora dire una cosa rivolgendomi a coloro che sostengono che questo scatto indipendentista sia pilotato in tutto e per tutto dall’alta borghesia catalana: non è così. Conosco bene il popolo catalano, ho molti amici delle età più disparate, conosco il rammarico dei settant’enni nel non aver potuto apprendere a scrivere bene la propria lingua perché vietata nelle scuole dal franchismo e conosco anche la soddisfazione dei giovani che invece la loro lingua l’hanno potuta studiare ed apprendere in tutte le sue sfaccettature perché il modello scolastico catalano è inclusivo e bilingue, catalano-castigliano. È vero, non tutti i catalani saranno favorevoli all’indipendenza ma una grande maggioranza lo è, sente le proprie radici affondare in quella terra che dall’Alt Empordá al Tarragonès vibra ora tutta insieme e lotta contro la malversazione e la prepotenza di uno stato che nulla sa fare se non nascondersi dietro una corte costituzionale fasulla ed alla ragion di stato. Il 1789 ci insegna che le borghesie possono fomentare le rivoluzioni ma a combatterle e vincerle sono i popoli.
Bon cop de falç.
Assembramento di manifestanti davanti al Tribunale Superiore di Giustizia Catalano, ieri intorno alle 19:30. Foto B. Baqué
Davanti al ministero dell’economia catalano un folto assembramento di persone, non solo giovani o anarchici o disobbedienti ma padri con figli e nonni con nipoti, la signora Fina della rosticceria, il macellaio, il parrucchiere gridano ai Mossos d’Esquadra: voi dovete proteggerci! Lo gridano increduli del fatto che la polizia indipendente catalana stia facendo il gioco sporco per la Guardia Civil madrilegna che è nel palazzo intenta a terminare le perquisizioni, dopo aver arrestato Josep Maria Jové, uomo molto vicino al vicepresidente catalano e altre tredici persone. Intanto Madrid congela i fondi del governo catalano e sequestra dieci milioni di schede elettorali, che si sarebbero dovute usare in occasione dell’ 1-0 ( come dicono i manifesti pro referendum indipendentista ). Un popolo vuole consultarsi a proposito della propria indipendenza, libertà e autodeterminazione e questo, in un’Europa costruita con non pochi problemi alle fondamenta, non sa da fare. Il presidente catalano Carles Puigdemont arriva a dire che il suo governo è stato surclassato, estromesso dal governo centrale di Madrid. Nonostante i divieti e le proibizioni di continuare a pubblicizzare il referendum del primo ottobre, il governo catalano continua a far uscire spot in rete; l’ultimo recita: ti è stata data la capacità di scegliere, perché non farlo? Mentre nelle immagini scorre lentamente una ferrovia che procede verso un bivio. Comunque si voterà dichiara Puigdemont e questo solleva una domanda inquietante: come si comporterà Madrid il primo di ottobre, in questa Spagna che dagli atteggiamenti assomiglia tanto più alla Turchia di Erdogan che alla culla di Podemos? Gli scenari sono molteplici: dai controlli antidemocratici degli accessi ai seggi alla chiusura e al sequestro dei seggi stessi, al possibile arresto dei presidenti e degli operatori di seggio che stanno chiaramente svolgendo un’attività antispagnola, fino ad arrivare al possibile, anche se probabilmente isolato, uso della forza. Le escalation in questo tipo di situazioni di tensione ( quando un popolo intero è vessato e si sente calpestato da un potere lontano, visto come tirannico, accentratore e divoratore di PIL ) sono pericolose e assai poco rare. C’è un aspetto della lotta per l’indipendenza catalana che mi colpisce particolarmente, è il fatto che una buona parte degli indipendentisti non siano in verità catalani doc ma abbiano adottato questa terra meravigliosa scegliendola come loro casa e come tale sono determinati a difenderla. Questo è l’esempio provato di ciò che sosteneva Bruno Salvadori, personaggio forse un po’ troppo dimenticato, secondo cui essere nato in un luogo non significa necessariamente appartenere alla comunità etnica di tale luogo infatti ” l’etnia è una scelta, in quanto non è mai un atto passivo, al contrario, richiede uno sforzo, una lotta costante, con i mezzi di cui si dispone, per difenderla e soprattutto per proiettarla verso l’avvenire. ” È proprio l’avvenire qui ad essere incerto mentre l’Europa tace, dissimula, ammicca ma non dice e non può dire nulla forse perché ha paura o meglio, i poteri centrali hanno timore e tremore di questo vento indipendentista che ha iniziato a soffiare forte, come una tramontana che entra dal mare, dalla Catalogna verso gli altri stati. Io, dal canto mio, sogno un finale felice; un’Europa nuova o piuttosto vecchia come idea ma migliore, come quella descritta da illustri e cristallini pensatori del passato tra i quali Federico Chabod. Un’Europa viva e vivace, un’Europa dei popoli e non delle nazioni, un’Europa piena di confini linguistici e culturali da preservare e da contaminare allo stesso tempo. Vorrei essere con quei trecento che ieri sera intonavano Els Segadors davanti alla caserma della Guardia Civil in Travessera de Gracia, trecento come alle Termopili con il Leonida più forte di sempre: l’idea di unione e di giustizia e se necessario di un bon cop de falç!