“ Gli unici amici dei curdi sono le montagne “. È significativo questo detto popolare curdo. Finanziati da Obama per fermare Daesh e adesso abbandonati da Trump e da noi europei, che non valiamo nulla sullo scacchiere internazionale, lasciati in balìa delle decisioni di Erdogan, rischiano una guerra che difficilmente potranno vincere ma che, sicuramente, combatteranno.
La parola chiave è safe zone, quella che la turchia vuole creare in Siria, lunga 400 Km e larga 80, che, guarda caso, è abitata da curdi. Ma chi si può dire contro le “ zone sicure “?
Il debito dell’Europa nei confronti della Turchia, che si è tenuta 3 milioni di profughi siriani entro i suoi confini, è immenso e diventa un atout potente, un grimaldello inarrestabile nella testa dei potenti europei. La schizofrenia americana non aiuta. Siamo tutti pronti a contrariarci vedendo il classico interventismo di Washington ma appena questa decide la ritirata più nessuno sa come procedere, che fare.
C’è certo un problema non indifferente che viene a porsi in caso di attacco turco al Curdistan siriano: le migliaia di prigionieri dell’ISIS che stanno nelle carceri curde, quei foreign fighters che nessuno stato vuole accollarsi e che, in caso di conflitto, non saranno certo la priorità dell’esercito curdo.
Insomma la situazione è caldissima, se non esplosiva e il mutismo europeo non fa altro che alimentare i sogni di rivalsa di un despota quale Erdogan, che vede il popolo curdo come un popolo terrorista, una minaccia da eliminare. Sappiamo bene, il popolo armeno ce lo rammenta, che i genocidi in quelle zone non siano difficilmente realizzabili.
Avere per amiche solo le montagne richiama alla nostra mente, o dovrebbe farlo, quel buon senso di resistenza partigiana che dovrebbe starci molto a cuore.