La terrine de Fois Gras d’Oie

Immancabile protagonista. Centro tavola perfetto per una festa natalizia come si deve! Adottata dai francesi ma arrivata nelle Gallie tramite il grande impero romano, che probabilmente l’aveva appresa in Egitto, questa preparazione è una delizia che accarezza il palato ed aiuta la felicità personale.

Godetevi il video della sua preparazione!

 

P.S. Per ciò che concerne la neve voglio trasmettervi le parole del buon Bistecchin: la neve arriverà dopo il 27 di dicembre. Perchè negli anni in cui la luna cambia due volte in un mese ( e se parli con qualcuno di ottanta, novant’anni, te lo conferma ) è come se fossimo trenta giorni indietro. Quindi non disperate!

Post digiuno

Dopo sessantotto ore trascorse a trangugiare acqua e tisane ( follia depurativa ), questa leccornia ci voleva proprio. Filetto di fassona in doppia panatura: si passano le fette nella farina, poi nell’uovo, in seguito in un miscuglio di grissini triturati e camomilla sbriciolata; si lasciano riposare le bistecche dieci minuti in frigo quindi si ripassano nell’uovo, precedentemente salato, e di seguito nel pan grattato. Far sciogliere abbondante burro chiarificato, in una padella antiaderente, e far rosolare le bistecche cinque, sei minuti per parte. Il risultato è una panatura croccantissima e un interno cotto al punto giusto, rosato. Ho accompagnato il tutto con una insalatina di carciofi condita con vinegrette all’aceto balsamico e un radicchio rosso tardivo di Treviso fatto appassire in padella senza condimenti.

Gratin di gnocchi alla parigina

Lo gnocco, fondamentalmente, è una forma di pasta di consistenza semidura che siamo abituati a veder composta sostanzialmente da patate e farina ma, non mettendo limiti alla fantasia nonché alla provvidenza, le patate, tubero tanto povero quanto eccezionale, possono essere sostituite da innumerevoli ingredienti. In questo caso la farina è mescolata con uova, burro, latte, nocemoscata e parmigiano… Si ottiene una pasta soffice da spremere nel sacapoche, in forma di gnocchi di uno per tre centimetri di lunghezza che si tuffano in acqua leggermente salata neanche fossero fratelli della Cagnotto. Pochi minuti e quindi in forno, in una teglia, ricoperti di besciamella e pecorino. Meno pesante di quanto possa sembrare, più gustoso di quanto appaia.

πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός

Così insegna il buon Eraclito. Non si può discendere due volte nello stesso fiume. Parafrasando l’esperienza dell’antico greco che sosteneva l’impossibilità, per un essere umano di far due volte la medesima esperienza, vorrei traslarla su quell’ambrosia celestiale di Merlot in purezza che prende il nome di Masseto. Sette ettari di terra toscana accarezzata dal sole e baciata dalla brezza, una selezione infinita, che riguarda prima i grappoli poi perfino gli acini, un mosto che entra in cantina per non uscirci prima di tre anni. I profumi sono talmente complessi che ti ci perdi, ti inebriano fino a farti girare la testa in un’estasi di piacere, talmente tanto, il Piacere, da far quasi passare la voglia di assaggiarlo, un po’ per reverenza ( o Signore non son degno di partecipare alla tua mensa…) un po’ per paura di rimaner deluso… Poi ti ricordi Winespectator e ti decidi, lo devi assaggiare. Ed ecco il panta rei, dal primo istante in cui assapori i suoi profumi ed i suoi gusti complessi, fino alla fine della bottiglia, è un continuo trasformarsi e migliorarsi ad ogni respiro, ad ogni sorso, non si beve mai lo stesso vino. Nonostante fosse già stato stappato il giorno prima il Masseto è un atleta del gusto e ha bisogno di ossigeno, tanto ossigeno, per migliorare le sue prestazioni. Potrei parlare anche dell’Ornellaia bevuta, erroneamente credo, prima del Masseto, pure vino stupendo complesso e affascinate ma dilungarsi troppo su di lui sarebbe come parlare, al primo appuntamento con una nuova ragazza, tutta la sera della propria ex!

Il prosciutto

Pratica millenaria adottata per la conservazione della carne, prima della così tanto nostra era del freddo indotto, era la salatura e conseguente stagionatura dei più svariati tagli della carne suina ma non solo. Il risultato che si vede nella foto è l’ottima conseguenza di cinque giorni di lavoro e successivi trenta giorni di attesa, estenuante devo confessare. L’ecumenico, prosciutto di petto d’oca, l’unico insaccato che sia in grado di far mangiare ciascun appartenente ad una delle tre grandi religioni monoteiste, una sorta di pontefice del gusto che mette d’accordo un po’ tutti. Nelle foto allegate sotto si possono vedere i vari passaggi della lavorazione; ogni giorno per cinque giorni il prosciutto è stato salato con una mistura composta da 1/3 di sale e 2/3 di zucchero, bacche di ginepro, bacche di senape, rosmarino, pepe nero e noce moscata e poi lasciato riposare in frigorifero. Una volta purgati tutti i liquidi presenti nella carne il petto è stato avvolto in un panno e lasciato quarantotto ore a temperatura ambiente dopo di che è stato legato e messo a stagionare una mesata in cantina. Che profumo.

In risposta a McMarchesi

Non conosco la città di Hamburg, ma se ha dati i natali, come si racconta, al panino più famoso del mondo allora qualche cosa di bello da vedere ci deve essere. Quella fotografata sopra è la mia idea del panino per eccellenza: 300 grammi di muscolo di fassona piemontese D.O.C., miscelati con sale maldon affunicato, doppio concentrato di pomodoro, senape di digione e salsa rubra. Cottura a fuoco vivace ma non troppo prolungata per conservare l’interno morbido e rosato. Panino composto da: insalata russa, hamburger, trito di cavolfiore dell’orto sott’olio, pomodoro secco, sarzet condito con un filo d’olio di noci e aceto balsamico e salsa rubra. Come contorno delle ottime patate bollite e poi fritte nel burro chiarificato. Della serie: questa sera mi faccio del male, ma con gran gusto!

Rimedio anticrisi

Ieri, giornata in cui lo spread Btp – Bund ha raggiunto il suo record storico, 4,59%, senza per altro aver dato l’impressione di voler rientrare, mi è sembrata la giornata adatta per dedicarmi ad un sublime piatto senza tempo: coq au vin. Certo, nella Borgogna del settecento, razzolavano galli ben più galli ( se mi passate il gioco di parole ) di quelli che si trovano nei mercati di oggi, per tale motivo necessitavano di una cottura lunga e lenta, affogati nel vino così che le carni non si seccassero eccessivamente. La cottura allora poteva andare oltre le tre ore, la mia per contro è stata di un’ora soltanto ma che ci possiamo fare? Il risultato è stato comunque sorprendente: cipolline, carote, sedano, champignon, vino bourgogne, pancetta e fiamma appena abbozzata si uniscono insieme a creare una sinfonia di sapori così delicati da sembrar quasi che il boccone ti accarezzi il palato. Rimedio perfetto contro i primi, timidi freddi invernali; accompagnato da ottima barbera d’Asti, sempre un must della buona tavola.

Altro che vivace

È una confessione quella che vi voglio fare oggi. Lo devo ammettere, anche io, talvolta, cedo alla tentazione e mi reco a ingurgitare “ cibo veloce “ in un freddo non luogo baudrillardesco dove ogni giorno, ad ogni ora, si consuma un grottesco carnevale che di bachtiano, ahimè, non ha proprio nulla. Ora questi luoghi esistono per sfamare la gente, nulla di più, riuscendoci benissimo, tanto che, credo, il galateo vi consenta di dir buon appetito, visto che, sotto un tavolo di finto marmo, le gambe le si mette solo ed esclusivamente per placar questo e mai, spero, per il mero piacere della convivialità.

Entrare e vedere, stampigliato a caratteri cubitali, sul tabellone tristemente retroilluminato a neon, il nome del principe della cucina totale, il traghettatore della tradizione gastronomica italiana nella nuova era ( quella alla quale diedero l’abbrivio i fratelli Troisgros, ispirati forse dallo scorrere della Loira, nella loro bella Roanne ), è stato per me un shock, il crollo di un mito: non ho saputo resistere, ho dovuto acquistare, spinto dalla necessità della rivalsa sui miei cattivi pensieri, quel panino Vivace, in apparenza succulento che portava il sacro nome di GVALTIERO MARCHESI; scritto proprio così, con la U tramutata in V, come nelle stampe secentesche. Purtroppo di Vivace non vi ho trovato proprio nulla, carne mal cotta, maionese alla senape che poteva saper di tutto ( ricordate le caramelle mille gusti +1 di Harry Potter? Una cosa simile ), spinaci “ spadellati “ che pareva gridassero pietà intrappolati tra il pane molliccio e la carne grondante acqua e per concludere il bacon o pancetta che dir si voglia: croccante come la colla di pesce ammollata nell’acqua.

Insomma, un disastro. Che il mio Crispy McBacon possa talvolta sostare un po’ più a lungo sulla rastrelliera e quindi la resa del suo bacon non sia più così crispy lo posso accettare, ma che questo accada ad un panino con su scritto GVALTIERO MARCHESI, mi dispiace non lo accetto. Dov’è finito l’attendo professionista di riso e oro,  del dripping, del raviolo scomposto, del cubo di finanziera? Quel genio estroso che fece tremare le papille gustative della Milano da bere, con le sue invenzioni più provocatorie di un murale di Siqueiros? Ahimè, temo proprio che anche lui abbia ceduto alle succulente e ricche lusinghe del marketing più feroce, le stessa che fanno sostenere a campioni che sacrificano la vita per lo sport, di allenarsi con la Kinder o capaci di far mettere a nudo donne già sublimi da vestite. Una brutta pagina nella storia della cucina italiana.