Irta la discesa

Spesso mi soffermo su ciò che è trascorso nel tempo e più e più si è fatto ed omesso. E so che non è poi così tanto. Si consuma ancora la cenere, con meno grida forse ma sempre la stessa birra. L’età e gli errori fatti o subiti ci rendono più silenziosi ma certo non meno bevitori.

Qui è il mio demone, mi coglie improvviso quasi ogni notte, celato dall’angolo di un sogno che inizia incubo e si consuma in idillio. Le città bruciano e gli uomini muoiono o peggio, dimenticano; ma il mio demone non si attarda mai sulla strada che lo porta a me.

Le poche cose che ho supposto conoscere nella mia vita, si sono rivelate d’altra fattura, sempre. Pure le fattezze di un viso angelico possono celare un inganno segreto ma non quelle del mio demone. Capisco ora che i tasti dolenti son spesso quelli che un tempo suonarono meglio.

Attesa

Così, tra una goccia di pioggia e un lampo di sole si sdipana l’inizio di primavera, nell’attesa del caldo estenuante che mena a gite amene, propongo un fugace ricordo di specchi alpini e nevai perenni, baciati da sguardi raminghi.

( Verso e al bivacco Regondi, 2598 slm sopra Ollomont )

Le poulet

Sveglia puntata alla 8:30. Domenica. Fuori della finestra zero anime. La pentola in ferro attende tranquilla. L’olio extravergine d’oliva si spande sulla superficie nera lucidandola poco a poco. Con un colpo sordo s’accende il gas, qualche minuto e i primi pezzi di pollastro si ritrovano a sfrigolare. Uno dopo l’altro. Prima dalla parte della spessa pelle poi direttamente sulla carne, 10/15 minuti ciascuno. Terminata l’operazione rosolatura, il grasso e l’olio residui sul fondo della pentola, abbandonano i fornelli per lo scarico. Senza condimento una parte di grasso della bestia fonde nel tegame, poco dopo sedano carota e cipolla iniziano a soffriggere. Dentro la carne, poi un bicchier di vino novello, una volta sfumato, dentro una scatola di pelati, rosmarino, prezzemolo, salvia e due cucchiai di olive taggiasche. Due ore e trenta ed il piatto è pronto.

Aspettando il termine della cottura non so come impiegare il tempo: metto a bollire mezzo Kg di patate rosse di Torgnon, dopo di che le passo stile puré, aggiungo 80 gr di burro, due rossi d’uovo, sale e noce moscata. Il composto nel sac à poche, beccuccio a stella: teglia da forno, carta da forno, forno duecento gradi, quindici minuti. Pomme duchesse. E buon appetito

La mattanza

12 mesi. 12 mesi d’attesa, ad imbeccarli di cereali sani e puri, questo ha fatto e fa ” il buon Petroz ” e poi… Per loro è la fine, senza soffrire. Io ci ho messo l’impegno nello smembramento ( praticamente perfetto ) e domani ci metterò la cura, nel cucinarlo. Pollo alla cacciatora, antica ricetta toscana… E scusate se è poco.

Incandescenze

Dopo forsennata corsa autostradale ( 120 km\h, forse si poteva fare di più ma… ) ed una disperata ricerca di parcheggio ( creato poi tra un marciapiede una macchina e un’officina ) arrivare a spettacolo iniziato non ha prezzo… In ogni caso qualche buon scatto ne è uscito! Per quanto non appezzi ( non essendo della coumba freida è difficile ) le festività carnevalizie, sarà poi il caso di approfondire il tema, devo dire che queste piroteknie pontsaintmartiniane siano state largamente apprezzate. E come sempre in questi casi… GRAZIE COMUNE E PRO-LOCO!!!!

La Saint Ours de Donnas

Chiedo scusa. Pur venendo cronologicamente prima, appare, solo dopo quello sulla più grande Sant’Orso aostana, questo articolo sulla più contenuta ma assai intrigante foire de Donnas. Ogni anno, ormai per tradizione, mi reco a visitare questa, non più così piccola, fiera dell’artigianato tradizionale, in bassa valle; a differenza di quanto si possa pensare, tutt’altro che una scimmiottatura della sorella maggiore. Anzi, una fiera direi più accogliente e azzarderei più sincera, sotto certi aspetti quali: i materiali lavorati ( legno, pietra, ferro ), la lingua più diffusa tra gli espositori ( lo patoué ), la grande partecipazione degli abitanti del paese e dei paesi concirconvicini e senza dubbio le dimensioni, ancora in grado di adattarsi allo stretto e lungo borgo del villaggio all’adret.

La fiera di Donnas, nell’incedere della mia vita, è il primo punto di sfogo festoso, trascorsi i bagordi pre e post natalizi. Un appuntamento che non posso mancare anche per via della sosta, successiva alla visita mattutina, al ristorante Bordet, nel paese di Hone: cucina casalinga vera: pochi fronzoli, solo gusto. Dalle iniziali tartine con seirass    ( il seirasso è quella cosa che assomiglia un po’ ai tomini, c’è chi ci fa senso e chi va pazzo e chi lo mangia coi crostini ) castagne e miele, alle frittatine di zucchini e pomodorini freschi, passando per il cotechino e la crema di ceci, per arrivare ai primi con sughi d’arrosto o zuppe libidinose e ancora la cacciagione in civet e gli arrosti al latte, per concludere con trionfi di cioccolato, creme e frutta di stagione. Sicuramente il miglior modo di iniziare il nuovo anno, in allegria.

Una scappata Al Caminetto

La strada tortuosa, la visibilità limitatissima da nuvola bassa, la neve cedente copiosa like x-mas, ce lo hanno fatto decisamente sudare ma, alla fine, dietro ad un tornante retto da un muro pietra-a-vista tanto spesso da parere un bastione di contenimento del fosso di Helm, come è uso in Vallée, l’abbiamo visto affiorare, tra le spesse nebbie… il ristorante. Vi eravamo già stati, appena su piazza, quattro anni fa circa e la sorpresa era stata ottima. L’atmosfera ti avvolge subito, tra il vezzoso montano e la trattoria di provincia, boiserie antica fino a metà pareti, tinte giallo pastello sui muri, alle finestre tendone spesse e rosse con renne ( animale qui sconosciuto, chissà perché vada tanto ), doubleface. Ci accomodiamo, la signora che ci accoglie, molto gentile, indossa una camicetta di volant a mezza manica, il cui motivo colorato ricorda il Sam Francis ultima maniera, che lascia semi-scoperto un tatuaggio sull’avambraccio sinistro, memore di chissà quali avventure giovanili. La carta dei vini è giustamente voluminosa, con una buona selezione di etichette, il menù è esile e facilmente leggibile: selezione di tre antipasti, serviti con una coppa di prosecco a perfetta temperatura, con un perlage pimpante e pure buono; un tris di primi e di secondi, il tagliere di formaggi serviti con le loro composte e una scelta di tre dolci che sembrano uno più invitante dell’altro.

Dietro la porta a battente unico con ritorno automatico si apre la camera delle meraviglie, una cucina acciaio inox che, per quanto mi sia stato dato di sbirciare, pareva brillare anche in pieno servizio, il regno indiscusso dello Chef Stefano Zonca, valdostano d’adozione, ha preso i natali in Gattico, terra di Piemonte così grassa e sapiente da bastare al resto del mondo. Uomo di cucina esperto con esperienze in tristellati quali La Tante Claire, London o l’enoteca Pinchiorri, Florence; mica chiacchiere, ristoranti che in cucina non hanno cuochi ma brigate organizzate come un esercito della delizia, capace di atterrarti solo con lo stordimento della papilla gustativa… E questo, Chef Zonca, lo ha imparato bene.Primo fra tutti, nei suoi piatti, è il Gusto ( non crediate sia cosa scontata ), mai eccessivo, sempre delicato con punte acidule e fresche, si compone come una pittura antica assemblando i vari componenti, scomposti, che formano la pietanza. Noi ci siamo concessi: carciofo ripieno, crema di sedano rapa, misticanze invernali; fonduta di Fontina d’alpeggio, miele al tartufo bianco,  toast di pain brioche; zucca marinata, anatra affumicata, praline di fegatini alle nocciole, pane grigliato; tortelli di ricotta e cime di rapa, ragù di capra; spaghetti alla chitarra di farina di castagne, verza scottata, bagna caoda; sottofiletto di vitella farcito al lardo in crosta di flakes di castagne, purea di cavolfiore, bietoline; mela tatin, crema al mascarpone, hot shot mela grappa rosmarino; zuppetta di cioccolato, pera e gelato alla vaniglia, briciole di meringa… E come digestivo un affascinate distillato di Sambuco. Ultima chicca, da non sottovalutare, era buono pure il caffé.