Vivere nel presente 

Premetto che non sono tipo da lanciarmi in polemiche, a meno che non riguardino direttamente la mia vita, ma sono certo persona che ama cercare di analizzare le polemiche e le affermazioni che da esse scaturiscono. Il mio ragionamento oggi verterà, come parrà ovvio, sulle dichiarazioni della nuova regina di bellezza italiana Alice Sabatini, diciottenne laziale della provincia di Viterbo che, domandatole in quale epoca avrebbe voluto nascere ha risposto nel 1942, per vedere la guerra. Come era lecito immaginare e infatti è accaduto, questa boutade ha suscitato l’ira e l’ironia di molti ma nel motivare la sua scelta la neo miss fa un riferimento che dovrebbe far pensare, dice: ” visto che i libri parlano, pagine e pagine… La volevo vivere. ” 

Ora, tralasciando il fatto che fosse nata nel ’42 la seconda guerra mondiale non l’avrebbe certo vissuta, tuttalpiù ne sarebbe perita, è interessante notare il distacco col quale una neo diplomata si rapporti con l’idea dell’ultimo conflitto mondiale; avrebbe tranquillamente potuto rispondere che le sarebbe piaciuto vivere in epoca vittoriana per vedere se i corsetti erano davvero tanto stretti, o nel 50 d.C. per provare se il garum avesse un sapore così schifoso. 

Siamo di fronte alla storicizzazione incombente di un evento terribile, che ha mietuto cinquanta milioni di vittime ma che si sta inesorabilmente distanziando dalla nostra memoria più viva. D’altronde questo paese si sta svecchiando, pensiamo al fatto che recentemente è stato eletto il primo presidente della Repubblica che non abbia avuto direttamente a che fare con la resistenza o l’antifascismo più in generale; abbiamo per la prima volta un presidente del consiglio sotto i quarant’anni; ministri giovanissimi ecc. Questi sono segni inequivocabili di un mondo che, nonostante la crisi e la ritrosia di molte idee che circolano spacciate per nuove, sta progredendo nell’unico modo possibile: non dimenticando il passato ma facendone storia e la storia, per molti, è lettera morta che si studia sui libri, non diversa da un romanzo di fantasia. 

Riesco quindi quasi a capire la curiosità di questa giovane ragazza ( che probabilmente non ha avuto la fortuna di avere nonni resistenti sopravvissuti, che fossero in grado di metterla alla luce di fatti atroci vissuti in prima persona e quindi più veritieri ) nel voler vedere da sé se tutto ciò di cui i libri ” parlano, pagine e pagine ” risponda a verità. Un’ingenuità forse che si può però accogliere di buon grado giacché a molte delle aberrazioni vissute dall’uomo nel secondo conflitto mondiale, se si è persone sane di mente, è difficile credere, visto anche quanto sia bello vivere a diciotto anni nel presente.

Tor-nare a casa

Si conclude, con due giorni d’anticipo causa maltempo, il Tor delle polemiche. Polemiche forse un po’ sterili giacché si è polemizzato molto per via del maltempo ma il tempo, quello meteorologico come diceva bene mia nonna, non ha mai voluto sposarsi per poter fare sempre ciò che vuole. È settembre e a settembre in Valle d’Aosta non è detto faccia bello, per la verità a 3200 metri di altitudine, non è detto che il tempo sia clemente nemmeno in luglio. Non sono dentro all’organizzazione di questo evento originale e folle, parlo quindi commentando le rimostranze di partecipanti e non che mi è capitato di leggere in rete ma mi pare vada da sé che, in una gara lunga 330 Km, sia fisicamente impossibile avere medici, infermieri, responsabili e guide alpine ad ogni piè sospinto. Chi va in montagna sa che è un’attività sempre rischiosa, non sono pochi i casi in cui alpinisti esperti sono morti in semplici scampagnate della domenica, in un ambiente ostile all’uomo come le Alpi l’infortunio può nascondersi ad ogni svolta di tornante. Ciò che mi stupisce di più è la cospicua quantità di persone che si reputino in grado di affrontare un percorso tanto massacrante quanto imprevedibile. Probabilmente molte persone sopravvalutano le proprie qualità alpinistiche nonché le proprie capacità fisiche ma questa non è una novità; quante motociclette si vedono sfrecciare a tutta velocità nelle domeniche pomeriggio post MotoGP! Ho letto, in un articolo di Repubblica scritto da un partecipante, un paragone molto particolare riguardo alla liberatoria ( che solleva l’organizzazione in caso di infortunio e/o morte di un concorrente ) che si firma insieme ai moduli di iscrizione, cito: ” è un po’ come se la stradale ti dicesse: oggi guidi fregandotene del codice della strada, passi col rosso e vai a 200 all’ora. Però se ti succede qualcosa, è affar tuo.” All’autore di questo paragone mi sento di dire che non è proprio così, una similitudine più consona sarebbe accomunare il Tor all’andare a girare in pista al Lombardore, anche lì si firma una liberatoria e il circuito offre delle sicurezze in più ma se ti schianti a 300 all’ora contro un muretto e muori non è certo colpa dell’asfalto! Così è per il Tor: l’organizzazione offre un’assistenza generica, cibo, luoghi per riposare, personale ospedaliero ma la gara la corre ogni singolo atleta secondo le proprie capacità e sensazioni. Se poi metti un piede in fallo e finisci in un burrone, vuoi perché era notte, perché c’era la nebbia, perché aveva appena nevischiato, perché un sasso si trovava dove non te lo aspettavi, non è colpa del buio, della bruma, della neve o del sasso è la sfortuna del trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato ed è sacrosanto l’assunto che non sia colpa dell’organizzazione anche perché, senza pettorale e con molta voglia, il Tor lo puoi pure correre da domani e se ti perdi, il cellulare non ha campo e fa molto freddo non verrà a cercarti comunque nessuno. Un’ultima considerazione va fatta sul concetto di ” mettersi alla prova ” alla ricerca dei propri limiti psicofisici: l’umanità deve il suo progresso proprio a questa predisposizione alla ricerca del nuovo, dell’inesplorato va da sé che balzando a pié pari nell’ignoto si può scoprire l’America ma se ne può anche far ritorno con una nuova ed incurabile malattia.

Grazie a tutti!

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Scriveva il de Sanctis, in un saggio a riguardo del Leopardi ma credo valga un po’ per tutti: ” l’uomo si costruisce a strati, come la terra…” ebbene, cari Sara e Giulio, sono felicissimo di esser stato partecipe alla costruzione di uno strato in più del vostro carattere e della vostra vita più in generale. Grazie a tutti è davvero da dirsi, per la festa, la compagnia, il cibo ma soprattutto per l’amicizia e il rispetto che sappiamo regalarci. Auguri e W gli sposi!!!

Liberi o no

 
 Sono molti i paradossi che popolano la modernità, dalla carta che abbonda nella burocrazia digitalizzata alle sonde che accarezzano planetoidi a miliardi di Km dalla Terra mentre in Sicilia crollano i viadotti. Quello che voglio presentarvi lo si trova spesso sotto i nostri occhi: è il paradosso del cartellone pubblicitario libero. Figlio diretto della modernità più pura in cui ci muoviamo immersi come in un liquido viscoso, capace di rallentare i nostri pensieri, di inibire e veicolare le nostre decisioni. La chiudo qui, non sono un filosofo e non mi impegolerò in discorsi cavillosi ma devo ammettere che il cartello pubblicitario ” libero ” che pubblicizza la sua libertà mi fa sorridere ad ogni passaggio davanti ad esso, che sia a piedi, in bicicletta o in macchina!

E poi c’è EDO.

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Molte sono le discipline create dall’uomo per valorizzare e conservare la sua storia, più o meno recente; dall’archeologia al restauro, affidandosi alla storia tout court e ad interventi di recupero filologici o meno. E poi c’è EDO. L’uomo che essendo fuori dal circolo degli eletti ( esseri umani che in qualche maniera potranno lasciar traccia del loro passaggio, almeno fra i propri simili per un lauto o breve lasso di tempo ) non ci sta a non avere la possibilità di incidere lui pure il suo Segno, la possibilità di diventare creatore di genius loci, inteso nel senso profondo di interazione tra luogo ed identità. Può avere torto, Edo oppure ragione, ai posteri l’ardua sentenza, quello che so è che, personalmente, guardo affascinato le incisioni di epoca medievale su monumenti romani tanto quanto le firme degli alpini sul muro del loro antico bar preferito. Abbiamo, come specie, una paura intrinseca del decadimento fisico delle Cose, ne siamo talmente ossessionati da creare materiali talmente innovativi da parer già desueti, logori, stanchi, contorti. Edo no. Edo non ha paura di ciò che si disfà e crolla in rovina, Edo ne prende possesso e la fa sua, quella putrescenza, riportandola forse a vita nuova!

Le tre grazie

25 aprile. Festa della liberazione. Liberazione dal giogo nazi-fasciata. Liberazione dalla guerra, tremenda, orribile. I morti sono tutti uguali, è la parte, giusta o sbagliata, dove si muore che fa la differenza. Come di consueto pubblico un mio racconto riguardante quei mesi di lotta estrema, di sacrificio, di angoscia. Buon 25 aprile a tutti!

Mi chiamo Gilda Rosetti, classe 1919, sposata dal 1938 con Carlo Pantaleone, classe 1910, e mi è sempre piaciuto avere delle bombette in casa. Vi stupirà che una massaia armeggi con l’esplosivo ma io nel ’44 avevo quattro figli piccoli e mio marito era quasi sempre sui colli, con la brigata, passavano anche due o tre mesi che non lo vedevo e quelle bombette mi facevano stare più sicura. Dico meglio: non che fossi più sicura io ma per i miei figlioli sì, ero più sicura. Me le aveva portate il Gianni, pallido e secco come un insetto ma con un cuore da leone, che mio marito non voleva. Cosa tieni in casa quella roba li, fa più danni che altro! E io avevo pianto non per lo schiaffone che mi aveva mollato dopo quelle parole, avevo pianto per la rabbia, lo avevo odiato perché non mi lasciava proteggere le mie creature. E allora il Gianni, che aveva una cotta per me dalle elementari me ne aveva portate tre, una mattina colorata di settembre. Le aveva infilate nella cintura di cuoio che era di suo padre, quella con la fibbia arrugginita; in verità da quella cintura lui ne aveva fatte due, una per sé e una per il topo, un ragazzino di Bologna che era li chissà perché, a combattere i neri, perché suo padre macellaio pesava come un bue ed era morto di mal di pancia prima che questa pazzia della guerra cominciasse, fortunato lui.

Quella mattina di settembre era sgattaiolato in casa, il Gianni, prima che sorgesse il sole, che quando c’è la guerra i colori li puoi vedere solo di notte, le aveva poggiate tutte e tre sul tavolo del tinello ma una gamba era rotta e il piano di legno stava un po’ inclinato che a momenti vanno in terra tutte e tre, le bombe dico. Facile, tiri qui e lanci ma lancia lontano che queste esplodono forte, sono americane mica nostre. Il Gianni era sempre stato chiaro, due cose mi aveva spiegato nella vita, e le avevo capite, come si fa la b in bella grafia corsiva e come si usa una bomba a mano. La prima e ultima volta che ho tradito Carlo è stata quella ma un bacio il Gianni se lo era meritato! Perché io non ne volevo più perdere di bambini che uno, ‘sti neri vigliacchi, già me lo avevano portato via che era ancora nella pancia a suon di botte e pedate nel sedere e gradini con la faccia… Non le avevo ancora le mie tre grazie, così le chiamavo, se no li avrei fatti correre quei bastardi. Le avevo riposte nella credenza in cucina, nell’anta in basso a sinistra, che era piena di scatole ormai vuote, infilate una sull’altra dentro ad una confezione di cacao Bensdorp, rossa fiammante! Le ho tenute li dentro per un po’ di mesi poi un bel giorno di maggio sento bussare alla porta ed era Carlo che mi dice di prendere i bambini, che la guerra è finita e per strada ci sono caramelle e sorrisi. Vivo ancora nella stessa casa, con le cambiali l’abbiamo un po’ ristrutturata e sotto la cucina, dove una volta ci stava la Gina che era a servizio dal barone, Carlo ci ha fatto la sua officina da ebanista. Lì dentro ora è tutto polvere e ragnatele ma se avete la costanza di spostare assi e vecchi carretti e bacinelle e damigiane vuote, in fondo a sinistra troverete un tombino stretto e rotondo con la scritta ACQVA. Beh dentro ci troverete le mie tre grazie, sonnolente ma pronte perché la guerra non te la aspetti mai. Dovrò ricordarmi di dirlo ai miei figli, prima di andare da Carlo.

Desueti angoli di fascino abbagliante

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Ci sono luoghi che risplendono di un fascino ancestrale, antri in cui le muffe, i licheni e l’umidità hanno creato un mondo a sé stante, un universo popolato d’insetti, aracnidi, scorpioni e serpi che non si faranno vedere al passaggio dell’uomo ma che l’uomo avverte come presenza continua. Oggetti desueti, dottrine e lavori perduti si possono incontrare dedicandosi a questa archeologia del minuto, del famigliare. Un grazie a Lino ch’é stato mio Virgilio nell’oscurità viva di queste cantine!